Quest’anno la ricorrenza, per diverse
contingenze, veste gli abiti di vera e propria celebrazione: perché il 2020 è
stato profeticamente dichiarato dall’OMS “Anno dell’infermiere”; per tutte le
implicazioni legate all’emergenza covid (in primis, i disagi vissuti da chi
continua a lavorare in condizioni rischiose e il dramma di chi quel rischio
l’ha pagato più o meno dolorosamente); per il bicentenario della nascita di
Florence Nightingale, fondatrice della disciplina infermieristica, donna
caparbia e dall’indomabile determinazione che tanto ha amato l’Italia.
Diverse sono le celebrazioni che erano state
progettate per quest’ultimo motivo, sia a livello locale dall’OPI di Asti che a
livello nazionale dalla Federazione. Il coronavirus ci ha portato via anche il
piacere di assistervi, ma allo stesso tempo ci ha dato la possibilità di
riflettere come non mai sulla natura della professione, sull’importanza che
riveste nella società, su come per decenni sia stata data colpevolmente per
scontata, sottovalutata, trattata alla stregua di un servizio sì fondamentale,
ma banale, ordinario: un qualcosa che paradossalmente, proprio perché deve
sempre esserci, non si rivela granché importante.
E invece importanti – fondamentali – lo siano eccome, e l’emergenza sanitaria
ci ha permesso di dimostrarlo.
Presenti, costanti, affidabili: gli infermieri si sono mostrati reattivi alle
sfide poste. Da anni imprigionati in una nicchia intellettuale che ci considera
colpevolmente “professionisti mestieranti”, abbiamo mostrato che siamo pronti
ad affrontare la sfida della sanità del futuro, sia dal punto di vista
dell’assistenza, che da quello della politica, che da quello della scienza.
Sì,
scienza. Perché, nonostante anni di sottovalutazione ci abbiano tristemente suggerito
il contrario, l’infermieristica è una disciplina scientifica. Florence
Nightingale ha buttato le basi di un’infermieristica basata sull’analisi dei
dati, sull’elaborazione di realtà misurabili, sull’applicazione del problem
solving e dell’information processing, su una professionalità che non passa per
la mera esecuzione tecnica, ma che affronta intellettualmente tutte le sfaccettature
dell’approccio alla salute dell’individuo. E
proprio la scienza sta dimostrando, in questo periodo, tutta la sua disarmante
pragmaticità: come nell’infermieristica, che ad essa afferisce, i risultati non
appaiono per magia, non si ottengono informandosi su Google, non si
acquisiscono bighellonando su YouTube; serve tempo, impegno, competenza,
risorse e tanto, tantissimo rispetto per chi la pratica.
Credo Florence sarebbe orgogliosa di noi. A duecento anni dalla sua nascita,
l’infermiere è professionista, ricercatore, politico. Ma, non
dimentichiamocelo, anche lavoratore, assieme agli altri attori della sanità.
Infermieri, medici, OSS, professionisti
sanitari: l’asse portante che sta arginando un’apocalisse a livello nazionale
(talvolta a costo della propria vita: ad oggi più di 10mila contagiati e di 140
morti, una stage nella strage), è sorretto dalle figure sanitarie e
socio-assistenziali, che negli anni hanno visto assottigliarsi drasticamente le
risorse e il rispetto dedicatigli.
Tutto questo senza retorica di stampo bellico
(non è una guerra, non siamo soldati), senza stucchevole magniloquenza da spot
pubblicitario. Rifuggo gli epiteti (pur lusinghieri ed apprezzatissimi) di
carattere epico: siamo professionisti, non eroi. Parafrasando Pirandello: “è
molto più facile essere un eroe che un professionista: eroi si può essere ogni
tanto, professionisti sempre”.
Ma se a furor di popolo dobbiamo essere
proclamati tali, pretendo che ci venga riconosciuto che “eroi” lo
siamo sempre stati: sottopagati, con organici sottodimensionati, spesso in
condizioni lavorative deplorevoli, eppure sempre lì; un esercito silenzioso,
anche prima di avere i riflettori puntati.
Perché, siamo sinceri: ora siamo i vostri
angeli, ma fino a due mesi fa degli infermieri nessuno sapeva nulla.
E allora, vi prego, ricordatevi di noi anche
“dopo”. Quando emergenza e quarantena saranno un graffito del
passato, quando tg e giornali non porteranno più in processione il nostro
eroismo, pensate che della sanità – e dei professionisti che la popolano e che
definiscono il suo livello di efficienza – c’è sempre vitale bisogno.
Buona festa, infermieri. Ora sanno chi siamo: tempi migliori, sono sicuro, arriveranno.
Alberto Campagnolo
Presidente OPI Asti